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Le donne disabili doppiamente discriminate

Le donne disabili italiane sono circa un milione e 700 mila: come gli uomini, forse di più. «Ma sono meno visibili, perché più emarginate dal punto di vista sociale e lavorativo». Secondo i dati di Istat del 2013 lavorano solo il 17,3 percento delle donne disabili tra i 15 e i 64 anni: il 6,5 percento in meno rispetto agli uomini.

 

La Federazione F.I.S.H., Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, è un organizzazione che da anni si occupa di essere il punto di riferimento tra le più rappresentative associazioni impegnate, a livello nazionale e locale, in politiche mirate all’inclusione sociale delle persone con differenti disabilità.

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FISH fa da portavoce per tutte le persone con un handicap

La FISH interviene per garantire la non discriminazione e le pari opportunità, in ogni ambito della vita.

La Federazione pone un’attenzione prioritaria alla condizione delle persone con disabilità, non sempre in grado di auto-rappresentarsi, ed al supporto dei loro nuclei familiari.

«Le donne con disabilità vivono una condizione di discriminazione multipla. Come donne condividono la mancanza di pari opportunità che prevale nella nostra società e come persone con disabilità soffrono di restrizioni e limiti alla partecipazione sociale.

Non è questa una mera sommatoria di discriminazioni, quanto piuttosto una loro moltiplicazione: non godono di pari opportunità né rispetto alle altre donne, né rispetto agli uomini con disabilità». scrive in una nota la FISH.

Con il coinvolgimento delle associazioni aderenti, FISH opera per favorire il consolidamento di collaborazioni strutturate con istituzioni, enti, università, sulle diverse tematiche attinenti alla disabilità.

 

La Federazione FISH, nel richiamare l’attenzione su un tema quale la discriminazione multipla vissuta nella nostra società dalle donne con disabilità, che a buona ragione possono essere definite come “due volte vittime”.

 

La Convenzione dell’ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità all’articolo 6 parla esplicitamente di donne e della loro multipla discriminazione, riconoscendole come persone esposte al rischio di maltrattamenti e abusi e raccomandando agli Stati membri di adottare norme specifiche per questi casi (art. 16).

Affermazioni importanti e lodevoli, ma non bastano.

Quello che è necessario per un vero miglioramento della condizione delle donne disabili, e non solo, parte dal basso attraverso un cambiamento radicale della mentalità comune e l’abbattimento degli stereotipi prodotti dalla società sempre più arrivista e sempre meno umana.

 

«Secondo l’ISTAT – prosegue la nota – lavora solo il 35,1% delle donne con limitazioni funzionali, invalidità o malattie croniche gravi, a fronte del già limitato 52,5% degli uomini nelle stesse condizioni. Sempre l’ISTAT rileva che il rischio di subire stupri è più che doppio per le donne con disabilità: il 10% contro il 4,7% delle donne senza limitazioni funzionali.

Esiste dunque una drammatica questione di genere quando ci si riferisce alla disabilità, come pure è significativa la variabile disabilità quando ci si occupa di condizione femminile e di violenza di genere, ma su tali lacune non vi è ancora consapevolezza».


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